Ci si interroga spesso sulla presenza di metalli pesanti negli alimenti, in particolar modo la presenza del mercurio (HG) nei diversi tipi di pesce. Innanzitutto, bisogna fare una distinzione delle diverse forme presenti di tale metallo. Il mercurio si trova in forma metallica come mercurio metallico (Hg), in forma inorganica (Hg+, Hg2+) come sali di mercurio (tra i più noti il solfato mercurico ed altri), in forma organica, tra cui il metilmercurio la forma presente negli alimenti in particolare nei pesci, ed anche sotto forma di vapore allo stato elementare (Hg0). Sia il mercurio metallico che l’inorganico una volta rilasciati nell’ambiente, ad esempio nell’acqua, possono essere trasformati da batteri ed altri organismi nella forma organica di metilmercurio, che viene assorbito dalle alghe, dando origine alla biomagnificazione. Con questo termine si indica il bioaccumulo di mercurio, in quanto il pesce assorbe efficientemente il metilmercurio, direttamente dalle alghe o dagli altri pesci più in basso nella catena alimentare, ma lo espelle molto lentamente. (1)
Il perché è importante valutare le concentrazioni di mercurio nel pesce ad uso alimentare risiede nella tossicità del mercurio che è considerato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) una delle 10 sostanze chimiche che causano maggiori preoccupazioni per gli effetti che può produrre nella popolazione esposta; mentre l’agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) lo ha classificato come possibile cancerogeno per l’uomo (categoria 2B), i cui effetti nocivi sulla salute sono correlati alla sua capacità di accumularsi; avendo cura di dividere la popolazione per età e soprattutto ponendo maggior attenzione nelle donne in stato di gravidanza. Bisogna tuttavia distinguere, per un’eventuale contaminazione, la modalità e la forma del mercurio, che porta a conseguenze e gravità differenti. Possiamo avere contaminazione, con quantità e durata differenti, tramite: inalazione, ingestione o contatto cutaneo. La contaminazione tramite inalazioni di grandi quantità di vapori di mercurio porta a conseguenze più gravi; si ha un vero e proprio avvelenamento con sintomi come: tracheite, bronchite, tosse ed ipertermia, disturbi nervosi progressivi (tremori e perdita di sensibilità) che possono portare fino alla morte della persona colpita. La contaminazione del mercurio metallico tramite ingestione, che risulta scarsamente assorbito a livello intestinale, può tuttavia raggiunge il polmone attraverso la respirazione, ed una volta assorbito, può passare la barriera ematoencefalica e la placenta. I sali inorganici di mercurio sono corrosivi per occhi e pelle e, se ingeriti, hanno effetti sul sistema gastrointestinale e renale con diversi sintomi come: vomito, diarrea, coliche addominali con emorragia, effetti sull’apparato circolatorio ed effetti sull’apparato respiratorio. Per quanto riguarda il mercurio organico, in particolare il metilmercurio, è facilmente assorbito dopo assunzione orale ed ha come principale bersaglio il sistema nervoso centrale e periferico. L’ingestione di grandi quantità provoca paralisi alle mani e ai piedi, generale debolezza muscolare, danni alla vista, all’udito e difficoltà nell’articolare le parole, con possibili aggravamenti che possono determinare disordine mentale, paralisi e coma, nei casi più gravi. (2) (3)
I limiti elaborati dalla Commissione Europea, attraverso il gruppo di esperti scientifici sui contaminanti nella catena alimentare (CONTAM) dell’EFSA, dopo aver esaminato le ultimi informazioni scientifiche riguardo la tossicità delle forme di mercurio, ha prodotto ed elaborato delle dosi settimanali tollerabili (TWI), stabilendo una TWI per il mercurio inorganico di 4 μg/kg di peso corporeo (pc), ed una TWI per il metilmercurio di 1,3 μg/kg di peso corporeo (pc). L’esposizione dell’uomo al metilmercurio è stata valutata attraverso la dieta, consentendo di stabilire un nesso tra consumo di alcune specie di pesce, in particolare tonno, pesce spada, merluzzo e luccio, nelle persone con un consumo elevato e frequente di questi pesci, rispetto alla popolazione totale risultando, in generale, circa doppia. Attenzione particolare va fatta per i bambini che possono risultare più vulnerabili dato il basso peso ed inoltre perché il metilmercurio altera il normale sviluppo neurologico. Una fase critica è quella della gravidanza poiché il feto può essere esposto al mercurio se la madre consuma pesce o alimenti contaminati. (4)
Tra le diverse specie i tonni sono di primaria importanza, in quanto sono una delle specie ittiche più consumate al mondo. Per valutare il rischio legato al consumo di tonno bisogna distinguere sia la specie di tonno sia l’origine e zona di pesca. Questa distinzione è necessaria in quanto le specie hanno dei livelli di mercurio differenti tra loro, dovute alle dimensioni, biologia migratoria e origine, zona di crescita e cattura, con differenze tra Oceano Pacifico orientale e occidentale, come dimostrato da recenti studi (5, 6); e anche tra tonno del mediterraneo. Un recente studio ha esaminato 205 campioni di tonno rosso e pinna gialla, mostrando una concentrazione maggiore nel tonno rosso rispetto al pinna gialla con valori medi compresi tra 0,84 mg/kg e 1,94 mg/kg (7). Un altro importante studio su tonni albacore (Thunnus alalunga) e tonno rosso (Thunnus thynnus) catturati esclusivamente nel Mar Mediterraneo, ha mostrato rispettivamente livelli compresi tra 0,84 e 1,45 mg/kg pc e da 0,16 a 2,59 mg/kg pc. Inoltre, va sottolineato che il mercurio era presente quasi completamente nella forma metilata con percentuali tra 77 e il 100% in albacore, e tra il 75 e il 100% nel tonno rosso (8). Questi studi mostrano il superamento dei livelli massimi fissati dalla Commissione europea pari a 1mg/Kg pc per la sicurezza alimentare. Riportiamo la tabella redatta dalla EFSA nel 2015 con il contenuto medio di metilmercurio per kg di peso umido delle diverse specie di pesci
In questo articolo abbiamo visto come il metilmercurio presente nel tonno ed altri pesci predatori può rappresentare un rischio per la nostra salute, questo non vuol creare un allarmismo e in nessun modo proporre una disincentivazione al consumo di pesce, che porta a numerosi benefici per la nostra saluta in primis legata al consumo di acido grasso polinsaturo n-3 (catena lunga) (LCPUFA). Possiamo quindi con difficoltà stabilire quali possano essere le dosi di pesce settimanale da consumare, prima di raggiungere il TWI in riferimento al metilmercurio, data la varietà di specie ittiche consumata. In riferimento al tonno, il rischio di esposizione al mercurio potrebbe essere gestito e valutato con più precisione se potremmo avere a disposizione informazioni sia del luogo di cattura e mezzi di produzione oltre che della sola specie, limitando l’esposizione e minimizzando il rischio nelle popolazioni vulnerabili, come le donne in gravidanza e in allattamento. In linea generale possiamo affermare che il consumo di tonno e grandi predatori, non debba superare le 1/2 porzioni a settimana, alternando e consumando specie ittiche con minore concentrazione di metilmercurio. Questi dati vanno contestualizzati per le diverse aree geografiche e valutati in riferimento alla normativa europea (Regolamento (CE) 1881/2006) e la normativa più restrittiva vigente in Italia (DECRETO 9 dicembre 1993), che pone il limite di 0,5 mg per Kg di prodotto fresco, rispettato nei prodotti commercializzati sul territorio nazionale.
Bibliografia
1) Croteau, M., et al,. 2005. 50 (5): 1511-1519
2) Rice et al., 2014 Mar;47(2):74-83. 10.396
3) Antunes Dos Santos et al., 2016 38: 99-107. 10.1016
4) EFSA 20 dicembre 2012
5) Colman et al., 2015 72(7): 1015-1023
6) Lowenstein et al., 2010 aprile 10.1098 2010.0156
7) Gaetano Cammilleri. et al,. 2018 Feb;32(4):457-462. 10.1080 8) MM Storelli et al,. 2002 Aug;19(8):715-20. 10.1080
A cura del dott. Simone Lepre