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Linfodrenaggio. Cos’è e a cosa serve?

Oltre ad arterie e vene, il nostro corpo è percorso da un terzo tipo di vasi: i vasi linfatici. Questo terzo sistema è strettamente interconnesso con i primi due in quanto recuperano parte del liquido fuoriuscito dai capillari sanguiniferi, convogliandolo nei vasi linfatici e facendolo passare nei linfonodi prima di riportarlo nelle vene.

 

Il liquido presente in questi vasi si chiama linfa ed è composto da:  

  • una parte corpuscolare formata cellule deputate alla riposta immunitaria;
  • una parte liquida ricca di proteine.

 

Come già detto, la linfa inizialmente raccolta e convogliata nei vasi linfatici passa attraverso numerose stazioni di filtraggio, tanto più numerose quanto più ci si trova alla “periferia” del corpo. Queste stazioni di filtraggio sono i linfonodi: formazioni generalmente rotondeggianti di dimensioni variabili che, in stato di normale attività in un individuo sano, misurano tra i 3 e i 6 mm di diametro. 

 

(Possiamo averne esperienza quando, durante un’influenza percepiamo delle “palline” di tessuto più rigido e dolenti alla palpazione nella zona sottomandibolare o sottoascellare. Si tratta di linfonodi che hanno aumentato le loro dimensioni per far fronte all’infiammazione in corso e che una volta guariti ritorneranno di dimensioni normali e di consistenza indistinguibile dai tessuti circostanti).

 

Il linfodrenaggio è una tecnica di massaggio che si effettua con pressioni molto lievi ed assolutamente non dolorose che ha lo scopo di stimolare il drenaggio della linfa inducendone lo scorrimento nei vasi linfatici, il passaggio attraverso i linfonodi ed infine il riassorbimento nel circolo venoso.  

Tutto questo avviene grazie a movimenti leggeri e ripetuti che hanno l’effetto secondario di rilassare il paziente.

 

La linfa, infatti, non circola grazie alla spinta di un “motore”, come avviene con il cuore per il sistema circolatorio, e la struttura dei suoi vasi ha una parte muscolare che è ridotta rispetto a quella di vene e arterie, la cui contrazione può spingere efficacemente il liquido in esse contenuto. 

 

La circolazione della linfa nei vasi linfatici è resa possibile da:

  • la compressione dei vasi linfatici da parte della muscolatura esterna ad essi (per questo una prolungata immobilità di un arto o una generale sedentarietà possono causare formazione di edema);
  • i movimenti respiratori;
  • l’attività contrattile presente solo nei vasi linfatici più grandi;
  • la variazione della pressione interstiziale.

 

Lo scorrimento della linfa nei vasi è quindi più frequentemente soggetto a fenomeni di stasi: la linfa si accumula negli spazi interstiziali causando la formazione di un edema (e quindi di un gonfiore localizzato o diffuso un una zona del corpo) che crea un circolo visione schiacciando i vasi linfatici bloccandone il flusso.

 

Le tecniche di linfodrenaggio sono indirizzate a stimolare il fisiologico scorrimento della linfa portando così alla riduzione dell’edema.

 

Il linfodrenaggio è particolarmente indicato nei casi di: 

  • edemi dovuti a interventi chirurgici o traumi;
  • edemi causati da sedentarietà o immobilità;
  • linfedemi secondari a chirurgia oncologica (es. post mastectomia);
  • gestione della ritenzione idrica in gravidanza.

 

Generando i seguenti effetti positivi:

 

  • effetto antiedematoso: ridurre il gonfiore e favorire il defluire dei liquidi in eccesso;
  • effetto sulle difese immunutarie;
  • miglioramento della microcircolazione;
  • effetto cicatrizzante su piaghe e ulcere.

 

Il terapista specializzato in linfodrenaggio avrà un’approfondita conoscenza anatomica che gli permette l’individuazione delle stazioni di linfonodi verso cui indirizzare la linfa, permettendone il drenaggio. La valutazione del singolo caso da parte del professionista è fondamentale per individuare il percorso terapeutico più adatto.

 

 

A cura del dott. Lorenzo Madini

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Tendinopatia. Sviluppo fisiopatologico e fasi della riabilitazione.

TENDINOPATIA: SVILUPPO FISIOPATOLOGICO E FASI DELLA RIABILITAZIONE.

La tendinopatia è una condizione clinica caratterizzata dalla presenza di dolore localizzato a livello del tendine che si presenta a seguito dell’applicazione di un carico meccanico su quest’ultimo.

Le problematiche a carico del tendine risultano essere molto comuni e possono coinvolgere diverse fasce d’età con richieste funzionali completamente differenti. Per esempio, la tendinopatia è una delle cause di infortunio più comuni nella popolazione sportiva sia professionistica che amatoriale. D’altro canto, anche la popolazione non sportiva può andare incontro a una tendinopatia a seguito di lavori pesanti con movimentazioni di carichi o a lavori che impongono una posizione mantenuta a lungo nel tempo.

Nonostante siano problematiche molto comuni, vi è ancora molto confusione a riguardo. In primo luogo, spesso si sentono molti nomi differenti per rivolgersi a problematiche del tessuto tendineo: tendinite, tendinosi etc. Per poter essere maggiormente precisi e per avere un linguaggio comune condiviso, il termine corretto con cui rivolgersi a queste problematiche è tendinopatia.

Anche per quanto riguarda le fasi della riabilitazione vi è ancora molta confusione.

Tuttavia, prima di parlare di riabilitazione, è necessario fare un passo indietro per comprendere cosa sia il tendine e quali processi portino allo sviluppo della tendinopatia.

Il tendine è un elemento di tessuto connettivo che crea un collegamento tra il muscolo e l’osso. Esso agisce come trasmettitore di forze dal muscolo all’osso generando un movimento articolare.

Esso è composto da tre pilastri anatomici principali: il collagene, la matrice-extracellulare e il tenocita.

Il tendine è una struttura in continuo adattamento che risponde agli stimoli esterni applicati; questi ultimi rappresentano lo stimolo e lo starter per avviare tutti i processi di sintesi e degradazione di nuovo collagene che sono alla base dell’adattamento del tessuto tendineo.

Tuttavia, il tendine non è sempre in grado di tollerare lo stress che viene indotto dal carico esterno somministrato al tendine nel corso delle attività compiute nella giornata. Per questo motivo, il processo patologico alla base dello sviluppo della tendinopatia inizia a seguito di un errato dosaggio del carico, sia esso troppo (overload) o troppo poco (underload).

Per essere maggiormente precisi, un tendine normale e sano può sviluppare i sintomi e andare incontro a un processo patologico in due principali situazioni:

  1. Dopo un’esposizione a un ciclo di stress troppo elevati senza aver rispettato i tempi di recupero necessari per il turnover del collagene.
  2. Dopo un’esposizione a un carico esterno a cui il tendine non era abituato.

Per fare un esempio, è molto frequente nel runner amatoriale lo sviluppo di una tendinopatia achillea. Un classico meccanismo con cui la tendinopatia si può sviluppare è la ripresa non graduale della corsa dopo un periodo di infortunio o dopo uno stop di alcuni mesi cercando di eguagliare subito la performance che si aveva prima dello stop. Dal momento che il tendine non è più abituato a uno stimolo così intenso, il carico somministrato supera quella che è la capacità di carico del tendine in quel momento e questo, se protratto nel tempo, può portare allo sviluppo della tendinopatia.

A questo punto possiamo finalmente parlare di riabilitazione della tendinopatia, un altro argomento su cui vi sono ancora molti dubbi. A volte viene consigliato il riposo e l’astensione completa dall’attività sportiva fino alla scomparsa dei sintomi. Tuttavia, questo approccio non è assolutamente consigliabile. Infatti, qualora anche i sintomi migliorino in seguito al riposo forzato, non appena ripresa l’attività e non appena ridato carico al tendine, quest’ultimo andrà incontro nuovamente ai processi sopra descritti facendo ritornare i sintomi.

Di conseguenza, il punto chiave della riabilitazione della tendinopatia è la corretta gestione del carico.

Prendendo come esempio il runner che abbiamo citato prima, la riabilitazione di quest’ultimo potrebbe seguire le seguenti quattro fasi.

In primo luogo, l’obiettivo della prima fase in cui prevale l’irritabilità del tendine è quello di andare a ridurre il dolore con una diminuzione del carico di lavoro. Per fare ciò l’esercizio terapeutico risulta essere la strategia migliore per il fisioterapista; in particolare, l’esercizio isometrico risulta molto utile per andare a ridurre il carico, oltre ad avere un effetto analgesico.

In seguito, una volta ridotta la reattività del tendine, l’obiettivo della seconda fase è quello di recuperare progressivamente la forza dell’unità muscolo-tendinea andando a migliorare la capacità di carico del tendine. In questo caso, l’esecuzione di esercizi dinamici in modo lento e con un carico esterno progressivamente sempre più elevato rappresenta un’ottima soluzione.

Una volta raggiunto un buon livello di forza ed una riduzione netta del dolore, è possibile aggiungere esercizi veloci e dinamici andando a migliorare la capacità del tendine di accumulare energia.

Infine, nell’ultima fase si dovranno inserire esercizi non solo di accumulo ma anche di rilascio energetico (come per esempio i salti). Questi ultimi sono gli esercizi in cui la richiesta di lavoro al tendine è maggiore, ma anche in cui la funzione del tendine raggiunge il suo apice: accumulare rapidamente energia (per esempio nel caricamento di un salto) per poi rilasciare quest’ultima in modo massivo (il salto vero e proprio). Tuttavia, per poter eseguire i cosiddetti esercizi di stretch-shortening cycle è necessario aver seguito le fasi precedenti in modo meticoloso e preciso, andando a gestire e dosare correttamente il carico dato al tendine.

Per poter passare da una fase all’altra della riabilitazione è molto utile assegnare al paziente un esercizio specifico per il tendine (come può essere un calf raise monopodalico per il tendine d’Achille) da eseguire ogni giorno allo stesso orario; al termine del test, il paziente dovrà segnare il dolore che prova in una scala incrementale da 0-10; qualora il dolore si assesti all’interno di una zona sicura (da 0-3) o accettabile (da 4-5), è possibile incrementare il carico e passare alla fase successiva. Qualora il dolore si assesti in una zona ad alto rischio (6-10), è necessario fare un passo indietro e ridurre il carico per evitare di peggiorare i sintomi del paziente e rendere ancora più irritabile il tessuto tendineo.

Per concludere, la tendinopatia è una condizione che può essere estremamente debilitante in quanto può portare all’astensione dalla propria attività sportiva o lavorativa. La riabilitazione della tendinopatia segue dei passaggi semplici ma necessita di grande precisione e attenzione nella gestione del carico somministrato al tessuto tendineo per poter andare a ridurre il dolore e tornare ai livelli di performance pre-infortunio.

A cura del dott. Pietro Guarinoni

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La Psicomotricità educativa di gruppo. Cos’è e quali sono i vantaggi.

Che cos’è la PSICOMOTRICITA’ EDUCATIVA?

La psicomotricità, nata negli anni 60 in Francia e sviluppata in Italia verso la fine degli anni 70, è un’attività che va ad integrare l’esperienza educativa e rappresenta per i bambini un’occasione per parlare di sé e della propria interiorità attraverso il corpo e il movimento, le vie privilegiate di espressione tra 0 e 7 anni d’età.

Il bambino è l’essere psicomotorio per eccellenza. Attraverso il movimento conosce, esperisce, sperimenta, apprende, comunica e si relaziona, strutturando progressivamente il suo essere.

Durante l’incontro di psicomotricità, tramite il movimento ed il gioco (senso-motorio, simbolico, di rappresentazione), ogni bambino esprime sé stesso ed il suo modo originale di essere nel e al mondo. Attraverso le infinite sfumature del linguaggio corporeo ognuno esprime le proprie caratteristiche somatiche, la postura, la gestualità, l’atteggiamento, ma anche i sentimenti e le emozioni, le tensioni e le paure. Il corpo infatti è l’espressione visibile di tutto quello che c’è in ogni singola persona: lo si può vedere, toccare, ascoltare; se ne possono percepire i movimenti interni ed esterni, i cambiamenti, gli stati di contrazione e di distensione, di stabilità e di irrequietezza.

 

Gli obiettivi cardine della psicomotricità sono:

  1. Aiutare il bambino a costruirsi un’immagine di sé attraverso il movimento ed il gioco;
  2. Favorire i processi di rassicurazione in merito alle paure e alle angosce che ogni bambino vive;
  3. Favorire i processi di decentramento tonico-emozionale, ossia aiutare il bambino a passare dalle forti emozioni che vive durante il momento del gioco ad un nuovo piacere.

 

È molto importante distinguere la psicomotricità educativa dall’attività motoria e dal gioco libero.

La Psicomotricità non è attività motoria in quanto non prevede degli esercizi da svolgere o un adulto che chieda ai bambini di fare delle cose nello specifico. Il bambino viene lasciato libero di portare all’interno della stanza di psicomotricità quello che più desidera.

La Psicomotricità non è nemmeno gioco libero (fondamentale per lo sviluppo del bambino) in quanto l’incontro psicomotorio prevede un contesto specifico, «setting psicomotorio», degli obiettivi, un dispositivo spaziale e temporale ed una certa attitudine dello specialista, psicomotricista, che va ad operare con i bambini.

 

Durante l’attività psicomotoria la psicomotricista, per promuovere la relazione psicomotoria deve avere un atteggiamento di rispetto verso la spontaneità, l’originalità e la centralità di ogni bambino. Le strategie comportamentali e relazionali da adottare sono l’ascolto, l’empatia, l’osservazione partecipe e l’imitazione, in modo tale da entrare all’interno del mondo del bambino, cercando di vederlo e sentirlo dal suo punto di vista.

 

L’importanza del GRUPPO nella PSICOMOTRICITA’ EDUCATIVA

La vita di gruppo è considerata una dimensione essenziale per il corretto sviluppo del bambino: egli non vive da solo, ma all’interno di piccoli gruppi quali possono essere la famiglia, la classe e le amicizie. Ogni individuo deposita nel gruppo delle parti di sé stesso e partecipa così alla costituzione di un luogo d’incontro dove far nascere emozioni e pensieri comuni. Così facendo il gruppo viene plasmato dai membri che lo compongono, presentando quindi caratteristiche di ognuno di essi e, di conseguenza, esso stesso influenza gli individui che vi appartengono: la dinamica di gruppo, infatti, funziona sia come contenitore dei membri nella loro interezza (pensieri, emozioni, esperienze, problemi…) che come punto di ancoraggio per ciascuno.

Nell’incontro di psicomotricità il gruppo è un’importantissima risorsa e si pone come “terzo elemento” relazionale, in aggiunta allo psicomotricista e ai bambini. La psicomotricità di gruppo pone il soggetto all’interno di un’esperienza emozionale diretta con il gruppo dei pari, con cui ha l’opportunità di confrontarsi e di compiere nuove esperienze di gioco che lo porteranno ad affrontare sfide ardue e nuove. In questo modo il bambino sarà in grado di esperire, a partire da un microcosmo (gruppo psicomotorio), eventuali dinamiche che andrà poi a riscontrare nel macrocosmo, ossia nel mondo di tutti i giorni, all’esterno del setting psicomotorio.

 

Ecco riassunti i vantaggi che la psicomotricità educativa di gruppo offre:

  • Dare al bambino tempo per analizzare i suoi modi di esprimersi e rapportarsi in un gruppo di pari;
  • Offrire al bambino uno spazio dove mettere in gioco le sue capacità, scoprendo con gli altri bambini le molteplici forme dell’azione, con tutte le sue sfumature;
  • Offrire al bambino la possibilità di condividere le emozioni anche grazie alla mediazione dello psicomotricista;
  • Offrire un contesto sociale per sentire riconosciute le proprie capacità, con conseguente aumento dell’autostima;
  • Offrire una gamma di possibilità espressive, dal movimento alla rappresentazione simbolica.

 

Il Gioco

Tramite il gioco ogni bambino riesce ad esprime pienamente la propria motricità: giocando vive la tonicità del proprio corpo, si apre alla narrazione, inventa e diviene creativo. Ha un enorme valore formativo nello sviluppo del bambino, in quanto lo aiuta a prendere contatto con la realtà, stimola ed affina i suoi movimenti e la sua sensibilità e rappresenta uno dei suoi fondamentali mezzi di apprendimento, stimolando la memoria, l’attenzione, la concentrazione, fornendo lo sviluppo di schemi percettivi, capacità di confronto e relazione. Occorre quindi che il bambino abbia libertà di giocare e possa disporre dei giocattoli più adatti per la sua età. L’offerta precoce di tutti i giocattoli possibili, quasi sempre troppi ed inadeguati in quanto troppo complessi per la sua età, non incentiva il gioco, ma molte volte lo limita o inibisce.

 

Tipologie di gioco

  • Gioco senso-motorio: nel gioco senso-motorio il bambino mette in campo il suo corpo al fine di favorire la consapevolezza del proprio corpo in relazione all’altro e all’uso degli oggetti. L’attività senso-motoria consente di mettere in moto contemporaneamente corpo, emozioni e pensieri in maniera fluida. Materiale: specchio, materassi, scivolo, cuscini.

Finalità: facilitare la sperimentazione del piacere senso-motorio a livello propriocettivo, enterocettivo e di equilibrio, attraverso la possibilità di salti da diverse altezze, di giochi di equilibrio/disequilibrio, di scivolamenti, di rotolamenti, di trascinamenti, in una situazione di sicurezza data dalla presenza dell’adulto, che allestisce lo spazio in maniera adeguata e riconosce le espressioni spontanee del bambino.

 

  • Gioco simbolico: nel gioco simbolico il bambino racconta sé stesso mediante l’espressione di sé e del proprio vissuto interiore. Possiamo definire il gioco simbolico come la capacità di rappresentare mediante simboli, immagini, nomi, pensieri, qualcosa che non è presente e che non si può percepire.

Materiale: parallelepipedi e cubi in gommapiuma colorati, cuscini morbidi, teli colorati.

Finalità: elaborare le situazioni e le figure che fanno parte della realtà sociale del bambino, imparando così a gestire le proprie emozioni e a socializzare con gli altri.

 

  • Gioco di rappresentazione: nel gioco di rappresentazione si prende distanza dalle grandi emozioni vissute e si ritorna gradualmente alla dimensione reale. Questa tipologia di gioco aiuta il bambino ad esprimere quello che ha vissuto durante l’incontro psicomotorio tramite disegno o costruzioni, due strumenti importantissimi in quanto fungono da filtro per la rielaborazione del vissuto emozionale del bambino.

Materiale: pasta modellante, mattoncini per costruzioni, pennarelli, pastelli.

Finalità: facilitare l’apertura al pensiero operatorio, vale a dire alla capacità di pensare e di mettere parole senza il totale coinvolgimento dell’agire; sviluppare la fantasia nonché la creatività e la coordinazione occhio-mano

Il setting

La stanza di psicomotricità viene ideata come cornice organizzativa, che contiene spazio, tempo e regole per garantire i confini degli incontri e per mettere in scena un’esperienza finalizzata all’espressività psicomotoria del bambino, dove la strutturazione degli spazi e l’utilizzo del materiale sono pensati affinché il bambino possa manifestarsi nella sua completezza e possa, secondo i suoi ritmi, attuare un percorso evolutivo, favorito dalla presenza e dall’intervento della psicomotricista.

Il setting psicomotorio è un luogo piacevole, accogliente e sicuro dove il bambino può esprimersi attraverso le sue modalità comportamentali, da quelle più inibite a quelle più eccessive e dove la sua pulsionalità è accettata e canalizzata. Non è solo un luogo fisico, ma anche simbolico, carico di emozioni e piacere, dove il bambino può modificare la realtà e comunicare significati. La stanza di psicomotricità presenta 3 criteri essenziali: l’apertura alla comunicazione, che parte dalla capacità di accogliere e rispondere in maniera adeguata alle esigenze e richieste del bambino; la creazione, attraverso il sostegno dell’attività a una produzione più elaborata e la formazione del pensiero che passa attraverso la fase del distanziamento senso-motorio ed emozionale.

  • Il materiale all’interno del setting psicomotorio

Il materiale che caratterizza la stanza di psicomotricità è costituito da oggetti semplici, facili da manipolare, che hanno come caratteristica principale quella di essere trasformabili. Ogni cosa all’interno della stanza si può trasformare in qualcosa di diverso a seconda del desiderio del bambino. Questo dinamismo intrinseco degli oggetti è un importante supporto per l’azione e l’espressione del bambino.

All’interno del setting psicomotorio si possono dunque trovare:
– cuscini di gommapiuma di diverse forme e grandezze: cubi, rettangoli, cilindri, …

Sono leggeri e voluminosi, l’ideale per costruire, distruggere, saltare e rotolare!
– materassi spessi o sottili, per impedire ai bambini di farsi male ma anche per offrire supporti diversi, per creare “trampolini di lancio”, discese e salite;
– piano inclinato rigido per consentire ai bambini di fare delle scivolate;
– cuscini classici;
– stoffe per coprirsi, avvolgersi, costruire, travestirsi.

 

  • Organizzazione temporale della seduta di psicomotricità di gruppo

La seduta psicomotoria di gruppo è un incontro che avviene tra bambini e psicomotricista in un luogo “setting psicomotorio” e per un certo arco di tempo che non variano nel corso degli incontri, in quanto uno degli aspetti più importanti della pratica psicomotoria di gruppo è quella di dare una continuità al “dispositivo gruppale”, tramite la regolarità degli orari, del ritmo e della stanza di psicomotricità, dove viene proposto ad ogni bambino, di settimana in settimana, un percorso che va dal corporeo al mentale, attraverso il gioco libero e spontaneo.

 

Ogni incontro in genere prevede un’organizzazione temporale che scandisce le fasi di questo percorso:

  • Un momento iniziale di accoglienza in cui i membri del gruppo provano a percepire lo stato psicologico l’uno dell’altro, a creare un primo spazio comune di comunicazione, dove ogni bambino trova lo spazio per poter comunicare agli altri qualche episodio a lui rilevante avvenuto nei giorni prima e a pensare o proporre il gioco che si vorrebbe fare successivamente, magari ricordando quello che è accaduto nell’incontro precedente.

Durante questa fase, prima di iniziare il gioco vero e proprio vengono ricordate le regole da rispettare all’interno della stanza di Psicomotricità, ossia:

  1. Non farsi male
  2. Non fare male agli altri bambini
  3. Non distruggere i giochi che costruiscono gli altri

 

  • Un secondo momento di gioco, definito anche momento d’azione, che favorisce lo sviluppo della motricità, della sensorialità e della relazione e che trasmette al bambino un senso di unità di sé, mirando alla costruzione di una identità positiva. In questa fase è importante il ruolo della psicomotricista che osserva i processi d’interazione e che, qual ora fosse necessario, indirizza verso dinamiche relazionali più consone al contesto.

Questo momento si apre con l’abbattimento del MURO DELLE EMOZIONI come scarica tonico-emozionale.

Questo è un momento magico che pone fine all’attesa del desiderio di giocare.

I bambini dopo aver “scaldato i motori” al VIA della psicomotricista buttano giù tutti insieme il muro di cuscinoni, liberando un’intensa emozione collettiva.

Per alcuni bambini può essere un momento per “misurarsi con l’adulto”, per abbatterlo simbolicamente, sentirsi forte e gratificato, e dunque un ottimo strumento per rafforzare l’autostima.

Una volta buttato giù il muro inizia la vera fase senso-motoria dove i bambini, tramite forti scariche emozionali sperimentano il piacere di saltare, scivolare, arrampicarsi e rotolare grazie ai materassoni e rampe presenti nella stanza. I bambini soprattutto nella fascia d’età 3-4 anni permangono molto nel gioco senso-motorio in quanto hanno proprio la necessità di esprimersi e conoscere il mondo con il proprio corpo.

In questa situazione il corpo viene sperimentato nella sua globalità tramite salti, corse, scivolamenti e rotolamenti. Nel salto il bambino sperimenta le proprie capacità motorie e cerca i propri limiti corporei. Il saper saltare è testimonianza di un’avvenuta separazione-individuazione ed ha una forte componente emozionale. È un’apoteosi di sensazioni nuove. Il bambino è protagonista del passaggio del cambiamento di posizione e di contatto attraverso un’azione che sospende il contatto, la fase di volo, durante la quale il bambino ha come unico riferimento sé stesso, il suo corpo, la sua abilità motoria e ciò che sente.

Durante il gioco senso-motorio è importantissimo sostenere le esperienze che i bambini stanno vivendo e far capire ai bambini che stanno compiendo delle imprese straordinarie, per rafforzare il senso di fiducia verso sé stessi. Altrettanto importante è non forzare i bambini rispettare i loro tempi, aiutandoli se serve.

Durante la fase del gioco i bambini investono molto tempo anche nel gioco simbolico.

Questo è il momento in cui ci si stacca dalle grandi emozioni vissute in precedenza, per passare ad un altro livello di rappresentazione. Il bambino gioca a “far finta di…”, trasformando il materiale, lo spazio e gli altri in funzione del suo mondo simbolico soggettivo.

I giochi che emergono maggiormente durante gli incontri di psicomotricità sono legati alla realtà quotidiana, sono giochi legati al mondo “fantastico” (principesse, cavalieri, pirati, draghi) o giochi dove emergono le paure recondite dei bambini (lupi ,squali, coccodrilli, fantasmi, mostri).

 

  • Un momento dedicato al gioco di rappresentazione o rielaborazione (attraverso il disegno, o le costruzioni o la plastilina) il cui obiettivo è quello di rielaborare il vissuto senso-motorio percepito durante il corso della seduta psicomotoria, aiutando il bambino a prendere distanza dall’emozione corporea, vissuta nel primo momento di gioco, e di attivare le proprie potenzialità cognitive.

Dopo il gioco è importante avere un posto, sia fisico che mentale, dove fermarsi e poter rielaborare attraverso la rappresentazione quanto sperimentato. Questo permette a ciascun membro del gruppo di rielaborare, attraverso il filtro delle sue emozioni, ciò che aveva appena vissuto.

 

  • Ed infine un momento conclusivo di defaticamento e congedo in cui il gruppo viene accompagnato al momento del distacco. Finita la fase della rappresentazione, ci si prepara al momento finale: seduti in cerchio i bambini uno alla volta raccontano il gioco che hanno preferito e dopo aver ascoltato ogni singolo bambino, ci si alza in piedi, ci si mette in fila e ci si saluta, ricordando l’appuntamento alla volta successiva.

 

Concludendo, la psicomotricità di gruppo è una risorsa indispensabile per permettere lo sviluppo armonico e globale di ogni bambino attraverso il corpo in movimento, il gioco libero e spontaneo e le relazioni affettive-emozionali.         I bambini all’interno del setting psicomotorio trovano un loro “mondo”, un “mondo in miniatura” dove poter esprimere i loro stati d’animo, i loro pensieri, i loro progetti e la loro creatività; per poter sviluppare le loro competenze psicomotorie e sociali e per potersi confrontare in autonomia con sé stessi, con i coetanei e con l’adulto.

Il termine “mondo in miniatura” è stato pensato perché esprime al meglio la visione di gruppo psicomotorio. Esso è, infatti, un concentrato spazio-temporale delle dinamiche quotidiane da cui dipende il complesso assetto relazionale che intercorre tra gli individui e da cui essi si sviluppano.

Nel mondo si vengono a creare una serie di relazioni interpersonali di tipo bidirezionale. Il processo formativo di un individuo, infatti, dipende dall’ambiente in cui esso si sviluppa: un individuo è il “prodotto” della società che lo circonda e, essendo esso stesso parte della società, ne influenza le dinamiche, portando in dote la propria parte di mondo per creare un macro-mondo comune. Il miracolo in questo mondo sono le relazioni umane e affettive che ognuno di noi tesse durante il proprio percorso. Il mondo senza le relazioni umane risulterebbe infatti una mera palude, arida, poco interessante e priva di sentimenti. Le relazioni umane sono la linfa vitale del mondo. Esse possono nascere per caso, ma non crescono se non trovano un terreno fertile, che, a mio avviso, è il nostro desiderio di viverle e la nostra capacità di coltivarle. In tal senso, il gruppo si svincola dalla mera definizione di “complesso di individui” e si articola in modo da risultare un luogo in cui gli stessi esercitano e sviluppano le loro interazioni sociali. Data la naturale predisposizione dell’uomo a creare questa complessa rete di interazioni nel mondo, si è cercato di ricreare tali dinamiche anche all’interno del gruppo psicomotorio, seppur in dimensione ristretta. In pratica questa piccola realtà diviene un vero e proprio mondo in miniatura.

A cura della dott.ssa Alba  Bertacco

Alba-Bertacco

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Dieta per Endometriosi. Alimenti da prediligere o eliminare.

L’endometriosi è una patologia cronica caratterizzata dalla presenza di endometrio all’esterno dell’utero, un tessuto che però normalmente si trova esclusivamente nella cavità uterina.

Può interessare la donna in età fertile e accompagnarla fino alla menopausa. L’endometriosi può anche essere causa di sub-fertilità o infertilità.

Le donne che soffrono di endometriosi possono riferire dolore mestruale, dolore durante i rapporti sessuali e alla defecazione.
In Italia le donne in età fertile affette da endometriosi sono il 10-15%.

Cambiare le proprie abitudini alimentari può aiutare a ridurre i sintomi correlati all’endometriosi. Ci sono alcuni alimenti che, sebbene siano generalmente da considerare sani, sono invece da limitare o eliminare poiché sono portatori di componenti che possono aumentare l’infiammazione (pro-infiammatori). D’altro canto, esistono alimenti che invece possono avere un ruolo nel ridurre e contrastare l’aumento dell’infiammazione, i quali devono essere consumati con frequenza giornaliera.

Una corretta alimentazione si è dimostrato essere uno dei modi migliori per ridurre i sintomi della malattia e per ridurre l’uso di farmaci e antidolorifici.

Gli alimenti da aumentare
• Omega 3 e omega 6
• Frutta, Verdura, cereali integrali e legumi
Si tratti di grassi ALA (acido alfa linolenico) che aiutano a ridurre l’infiammazione associata a questa malattia grazie alla regolazione della funzione delle citochine, molecole coinvolte nei processi infiammatori. Inoltre, aumentano la produzione della prostaglandina PGE1 che riduce il livello di infiammazione addominale determinato dalla endometriosi.

In che alimenti trovarli:
• Frutta secca (preferire le noci come frequenza)
• Semi di lino, semi di chia e semi di zucca
• Salmone selvaggio
• Pesce azzurro di piccola taglia (alici, sardine, sgombro) • Avocado
• Verdura
• Frutti rossi e frutta di stagione
• Orzo
• Farro
• Riso integrale
• Ceci, lenticchie, lupini, piselli
Le verdure sono ricche di proprietà antinfiammatorie e antiossidanti e contengono differenti vitamine. Le fibre alimentari, inoltre, aiutano la regolazione dei livelli di alcuni ormoni, omeostasi glicemica ed insulinemica, oltre a ridurre gli estrogeni. Si consiglia di aumentare il consumo di fibre ed includerle sempre ad ogni pasto.

Gli alimenti da ridurre
• Grano
• Pane e pasta
• Brioche
• Prodotti da forno
Il grano contiene glutine e le proteine costituenti il glutine possono avere un
effetto proinfiammatorio (le donne con endometriosi sembrerebbero essere
maggiormente sensibili a questo componente). Si consiglia comunque di scegliere sempre le qualità integrale per aumentare l’apporto di fibre ed avere un assorbimento più graduale.

• Latticini
• Latte intero di mucca, capra o pecora • Formaggi
• Panna e burro
I prodotti derivati dal latte possono contribuire alla stimolazione della produzione di prostaglandine PGE2 e PGF2a, responsabili di alcuni processi infiammatori, acuendo la sintomatologia già presente.

• Carne rossa
• Insaccati
• Wurstel
• Carne in scatola
• Salsiccia, pancetta, salami, affumicati ed essiccati
La carne rossa può giocare un ruolo nella produzione di prostaglandine proinfiammatorie, aumentando l’infiammazione. Inoltre, la modalità di conservazione e di cottura della carne rossa può contenere una serie di sostanze anch’esse proinfiammatoie. Eccezione per la carne bianca di origine e allevamento controllato, che può essere consumata con regolarità.

Gli alimenti da eliminare
• Zuccheri e prodotti raffinati
• Grassi saturi
• Merendine
• Biscotti industriali
• Bevande zuccherate e gasate
• Prodotti con farina bianca e zucchero raffinato
• Burro e margarina
Gli zuccheri semplici possono causare una reazione infiammatoria, in particolare si ha la formazione di glicoproteine, AGE (“Advanced Glycated End Product”), ossia proteine che vengono ad essere legate agli zuccheri formando molecole non funzionali ed alterate, con aumento dell’infiammazione sistemica.

• Caffeina
La caffeina aumenta i crampi addominali e i livelli di estrogeni.

• Cibi fritti e alcol
Il fritto può stimolare la formazione di prostaglandine negative. L’alcol consuma vitamina B che è immagazzinata nel fegato. La buona funzione epatica è vitale poiché il fegato aiuterà ad eliminare gli estrogeni in eccesso dal corpo.

• Soia
• Salsa di soia
• Latte di soia
• Leticina di soia (presente in biscotti e prodotti industriali)
• Avena
• Aloe
• Segale
• Noodles
• Tofu
La soia, così come la segale e l’avena, sono da evitare per il loro alto contenuto di estrogeni.

A cura del dott. Simone Lepre

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Il potere delle immagini. Le carte Dixit nella psicoterapia dell’età evolutiva.

Il gioco è un aspetto fondamentale dello sviluppo umano, in particolare durante l’infanzia. È uno dei mezzi che i bambini usano per comunicare, rappresentare e manifestare il loro mondo emotivo e i loro pensieri, anche quelli maggiormente nascosti e/o caratterizzati da emozioni e vissuti che generano più paura e angoscia. Tramite il gioco i bambini riescono ad elaborare ciò che sentono e ciò che vivono.

Nella psicoterapia dell’età evolutiva il gioco assume un ruolo centrale, diventando uno strumento terapeutico efficace per comprendere ed intervenire sui bisogni emotivi e comportamentali dei bambini.

Nella psicoterapia, il gioco assume varie funzioni, tra cui l’espressione di sé, l’elaborazione del trauma, lo sviluppo delle competenze sociali e la risoluzione dei conflitti.

All’interno della stanza può essere utilizzato sia il gioco non strutturato e, quindi, simbolico, sia giochi strutturati. Il primo permette di accedere più facilmente al mondo interno del bambino (l’insieme di emozioni, pensieri e vissuti), i secondi, invece, forniscono un’immagine istantanea dello sviluppo del bambino, permettendo anche di osservare più chiaramente come il bambino si relaziona con l’altro che diventa, in misura maggiore rispetto ai giochi simbolici, portatore di pensieri, azioni ed intenzioni.

L’utilizzo delle Carte Dixit in psicoterapia rappresenta un approccio innovativo ed efficace per facilitare l’espressione e l’elaborazione delle emozioni, dei pensieri e delle esperienze.

Dixit nasce come gioco da tavolo creato dallo psichiatra infantile Jean-Louis Roubira. Collaborando con diversi illustratori, le carte sono state progettate in modo da avere un forte simbolismo, oltre ad una dose onirica e surreale su temi che si sovrappongono e si completano, come l’amore, la morte, la libertà, il conflitto, la reclusione… Questo gioco fa, quindi, appello all’immaginazione e all’intuizione, alla comunicazione e alla condivisione.

Le Carte Dixit in psicoterapia possono essere proposte in svariate modalità a seconda della necessità del lavoro terapeutico che si sta effettuando. Queste carte danno la possibilità di svolgere un gioco in una modalità più o meno strutturata, dove il paziente può immergersi mentre il terapeuta può valutare se partecipare più o meno attivamente.

La particolarità delle illustrazioni di queste carte fanno sì che sia facile per chi le osserva identificarsi con le immagini proposte, favorendo l’espressione e la narrazione del proprio mondo interno.

Dixit

Le Carte Dixit si pongono in una terra di mezzo tra narrazione e gioco perché permettono di creare una storia e di giocare poi con essa.

Ci sono una serie di caratteristiche che rendono uniche queste:

  • L’insaturità: il paziente si sente libero di esprimersi come vuole senza rimanere vittima di una dinamica già prevista dal gioco stesso.
  • La diversità: non ce n’è una uguale all’altra e questo permette ad ogni bambino o ragazzo di sceglierle ed utilizzarle secondo i propri bisogni emotivi. Il Dixit presenta, appunto, un gran numero di stimoli molto diversi tra loro, ciò aiuta il paziente a trovare qualche aspetto con il quale identificarsi, immagini sulle quali proiettare bisogni, paure, angosce. Trattandosi di un racconto o di una descrizione, alcuni fantasmi del mondo interno del bambino vengono portati sul piano della verbalizzazione.
  • Favoriscono il processo di simbolizzazione: le persone, infatti, scelgono immagini simboliche che si aprono al linguaggio metaforico. Il potere narrativo delle metafore è quello di permettere di “parlare di te senza parlare di te”. Così il linguaggio simbolico è ricco di ciò che la persona non penserebbe di dire razionalmente quando parla direttamente. L’utilizzo delle metafore permette anche di ridurre i meccanismi di difesa che ostacolano l’accesso al proprio mondo interno e alla narrazione di esso, facilitando così la comprensione di sé e facendo emergere più facilmente le emozioni presenti.
  • Offrono la possibilità di entrare in relazione con l’altro che, ascoltando attivamente o giocando insieme, riesce ad accogliere gli stati mentali ed emotivi presenti durante il gioco consentendo nuove trasformazioni.

Le Carte Dixit sono, quindi, uno strumento versatile e potente in psicoterapia, in grado di facilitare la comunicazione, l’espressione e la comprensione profonda dei pazienti, sia stando attenti alla comunicazione verbale che viene usata nella narrazione delle carte, ma anche considerando il comportamento verbale in reazione alla vista di questi stimoli.

L’integrazione delle Carte Dixit nella pratica terapeutica permette di rendere il percorso terapeutico più coinvolgente ed accessibile per i bambini e i giovani, facilitando la creazione di un’alleanza terapeutica funzionale allo svolgimento della terapia stessa.

A cura del dott.ssa Elisa Briccola

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Osteopatia pre parto. Un approccio integrato per un parto sereno.

L’osteopatia, una disciplina che utilizza tecniche manuali per migliorare la funzionalità del corpo e promuovere l’autoguarigione, è particolarmente utile durante la gravidanza e nella preparazione al parto. Durante la gravidanza, il corpo della donna subisce numerosi cambiamenti fisiologici e biomeccanici che possono causare discomfort e dolore. L’osteopatia può aiutare a gestire questi cambiamenti, migliorando il benessere della futura mamma e favorendo un parto più agevole.

 

Cambiamenti fisiologici e biomeccanici in gravidanza

Durante la gravidanza, l’aumento di peso e le modifiche ormonali portano a cambiamenti nella postura e nella biomeccanica del corpo. La colonna vertebrale, il bacino e le articolazioni devono adattarsi per sostenere il peso crescente del feto. Questo può portare a dolore lombare, sciatalgia, tensione pelvica e altri disturbi muscoloscheletrici. Inoltre, l’ormone relaxina, che viene rilasciato per allentare i legamenti del bacino in preparazione al parto, può causare instabilità articolare e ulteriore discomfort.

 

Benefici dell’osteopatia nella preparazione al parto

L’osteopatia offre un approccio sicuro e non invasivo per aiutare le donne in dolce attesa a gestire questi cambiamenti e prepararsi al parto. Ecco alcuni dei principali benefici dell’osteopatia durante la gravidanza:

  • Riduzione del dolore e del discomfort: le tecniche osteopatiche possono alleviare il dolore lombare, la sciatalgia e la tensione muscolare, migliorando la postura e riducendo lo stress sulle articolazioni e sui legamenti. Questo aiuta a creare un ambiente corporeo più rilassato e pronto per il parto. Il trattamento può anche ridurre i crampi muscolari e le tensioni, rendendo i mesi di gravidanza più confortevoli.
  • Miglioramento della mobilità pelvica: un bacino mobile e ben in equilibrio è essenziale per un parto più agevole. L’osteopata può lavorare per migliorare la mobilità del bacino e della colonna vertebrale, facilitando il passaggio del bambino attraverso il canale del parto. Una maggiore flessibilità e mobilità del bacino possono ridurre il tempo di travaglio e diminuire il rischio di complicazioni durante il parto.
  • Riduzione del gonfiore: l’osteopatia può aiutare a ridurre l’edema e il gonfiore nelle gambe e nei piedi, comuni durante la gravidanza. Migliorando la circolazione e il drenaggio linfatico, si riduce il discomfort associato al gonfiore, migliorando la mobilità e il comfort generale della futura mamma. Questo può essere particolarmente utile nelle ultime settimane di gravidanza, quando il gonfiore tende ad aumentare.
  • Preparazione del pavimento pelvico: l’osteopatia può svolgere un ruolo fondamentale nella preparazione del pavimento pelvico per il parto. Attraverso tecniche manuali, l’osteopata lavora sulla zona del pavimento pelvico per far sì che vi sia un equilibrio tra tono muscolare e rilassamento per facilitare il parto. Una preparazione adeguata del pavimento pelvico può ridurre il rischio di lacerazioni durante il parto e facilitare un recupero più rapido e meno doloroso dopo il parto.
  • Miglioramento della respirazione: durante la gravidanza, il diaframma riduce la sua possibilità di espansione e mobilità a causa della crescita dell’utero. L’osteopatia può aiutare a migliorare la mobilità del diaframma, facilitando una respirazione più efficace e profonda. Questo non solo migliora l’ossigenazione del corpo della mamma e del feto, ma può anche aiutare a gestire eventuali disturbi di stomaco e il dolore durante il travaglio.
  • Prevenzione e trattamento di problemi digestivi: la gravidanza può portare a vari problemi digestivi, come il reflusso gastroesofageo, la gastrite e la stitichezza. L’osteopatia può aiutare a migliorare la funzione del sistema digestivo, alleviando questi sintomi e promuovendo una migliore motilità del sistema gastrointestinale.
  • Ottimizzazione della posizione fetale: l’osteopata può aiutare a ottimizzare la posizione del feto all’interno dell’utero, lavorando sulla mamma e sulle sue possibili tensioni corporee, riducendo il rischio di presentazione podalica (breech) o di altre posizioni fetali.

 

Ogni gravidanza è unica e richiede un approccio personalizzato. L’osteopata valuta attentamente la condizione fisica della futura mamma e sviluppa un piano di trattamento su misura per gestire le sue specifiche esigenze. Questo approccio individualizzato garantisce che il trattamento sia sicuro ed efficace, tenendo conto dei cambiamenti fisiologici che avvengono in ogni trimestre della gravidanza.

L’osteopatia può essere integrata con altri tipi di assistenza prenatale per fornire un supporto completo. L’osteopata lavora spesso in collaborazione con ostetriche, ginecologi, fisioterapisti e altri professionisti della salute per assicurare che la futura mamma riceva il miglior trattamento possibile. Questa collaborazione multidisciplinare assicura che tutti gli aspetti della salute della mamma e del bambino siano considerati, fornendo un ambiente di supporto completo durante tutta la gravidanza.

 

A cura della dott.ssa

Lavinia Arnone

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Distorsione di caviglia. Le fasi della riabilitazione.

Bene o male a tutti nella vita è capitato di avere una distorsione di caviglia, ma non tutti sanno cosa succede quando questo spiacevole infortunio ci fa visita.

Una distorsione alla caviglia si verifica quando quest’ultima subisce un brusco movimento che stressa le strutture articolari, ovvero i legamenti, i muscoli e i tendini che avvolgono la caviglia, arrivando vicino o oltre i limiti della sua possibilità di movimento.

Le distorsioni della caviglia sono una delle lesioni più comuni, specialmente durante le attività fisiche o gli sport.

La gravità di una distorsione della caviglia può variare a seconda dell’entità del danno e alle strutture articolari.

Ci sono tre gradi di distorsioni della caviglia:

Grado 1: leggera distorsione, con leggero allungamento o rottura microscopica dei legamenti. Ci può essere minimo dolore e gonfiore e, di solito, è possibile camminare.
– ⁠Grado 2: distorsione moderata, che comporta una parziale lacerazione dei legamenti. Ciò può causare dolore moderato, gonfiore e lividi, insieme a difficoltà a sopportare il peso sulla caviglia interessata.
– ⁠Grado 3: grave distorsione, con strappo completo o danni significativi ai legamenti. Ciò si traduce in forte dolore, gonfiore, ematomi e può esitare in instabilità della caviglia. Camminare o sopportare il peso sulla caviglia ferita può essere estremamente difficile o impossibile.

Le distorsioni della caviglia prevedono un approccio differente in base al grado di trauma, come descritto precedentemente. Tuttavia, c’è un passaggio comune per tutti i gradi: la fase di protezione.

Tipicamente in questa fase si utilizza un protocollo che mira alla gestione della fase infiammatoria iniziale. In gergo viene chiamato PRICE che corrisponde a: protezione, riposo (funzionale), ghiaccio, compressione ed elevazione.

Tuttavia le distorsioni lasciano dietro di sè effetti sui legamenti e sulla muscolatura che necessitano un intervento riabilitativo che consenta di riprendere efficacemente l’attività preferita, o semplicemente in normali gesti della quotidianità.

In base alla gravità ed alla fase di trattamento, il fisioterapista proporrà differenti categorie di esercizi per ripristinare la miglior funzionalità della caviglia.

Tra le classi di esercizi possiamo descrivere:
Esercizi di mobilità: sono esercizi delicati per ripristinare la flessibilità e la gamma di movimento nell’articolazione della caviglia.
– ⁠Allenamento della forza: se il dolore lo permette, si iniziano gli esercizi di rafforzamento per stabilizzare la caviglia e prevenire le distorsioni future.
– ⁠Allenamento di equilibrio e propriocezione: è importante incorporare esercizi per il migliorare l’equilibrio e la propriocezione (consapevolezza della posizione del corpo nello spazio). Questi esercizi insegneranno strategie ed automatismi che sono efficaci a prevenire nuovi infortuni.
– ⁠Esercizi funzionali: la progressione graduale prevede l’inserimento di esercizi funzionali che imitano le attività che svolgi nella vita quotidiana o negli sport. Questo aiuta a riqualificare la caviglia per normali modelli di movimento.
– ⁠Ritorno all’attività: una volta riacquistato la forza, la flessibilità e l’equilibrio, sarà possibile reintrodurre gradualmente le attività che coinvolgono la caviglia. Generalmente questa fase prevede iniziali attività a basso impatto ed un successivo graduale aumento dell’intensità.

Il percorso riabilitativo e di riatletizzazione è molto importante perché, se non adeguatamente trattate, le distorsioni di caviglia potrebbero esitare in due problemi a medio/lungo termine: un rischio fino a sei volte più alto di incorrere in nuove distorsioni e la lassità articolare, che con il tempo può condurre ad artrosi secondaria della caviglia.

A cura del dott. Andrea Tarantino

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Bonus psicologo 2024. Di cosa si tratta e come ottenerlo

Cos’è il bonus psicologo?

Si tratta di un contributo dell’INPS per sostenere le spese relative a sedute di psicoterapia, per coloro che desiderano beneficiare di un percorso psicologico.

Chi può richiederlo?

  • Persone residenti in Italia
  • Coloro che possiedono un ISEE in corso di validità con un valore non superiore a 50mila euro

Quando richiederlo?

La domanda di bonus psicologo deve essere presentata dal 18 marzo al 31 maggio 2024.

Dove si richiede?

Sul sito dell’INPS accedendo al servizio “Contributo per sostenere le spese relative a sessioni di psicoterapia – Bonus psicologo” tramite SPID, CIE (carta identità elettronica) o CNS (carta nazionale dei servizi).

Al termine del periodo stabilito per la presentazione della domanda, saranno redatte le graduatorie per l’assegnazione del beneficio nei limiti delle risorse stanziate che tengono conto del valore dell’ISEE e, a parità del valore ISEE, dell’ordine di presentazione della domanda.

In cosa consiste il bonus?

Il beneficio copre un importo fino a 50 euro per ogni seduta di psicoterapia e sarà erogato fino al raggiungimento dell’importo massimo assegnato in base ai seguenti limiti di ISEE:

  • ISEE inferiore a 15mila euro: importo massimo di 1.500 euro per ogni beneficiario (30 sedute);
  • ISEE compreso tra i 15mila e i 30mila euro: importo massimo di 1.000 euro per ogni beneficiario (20 sedute);
  • ISEE superiore a 30mila e non superiore a 50mila euro: importo massimo di 500 euro per ogni beneficiario (10 sedute).

Il bonus è riconosciuto una sola volta in favore del richiedente.

Come sapere se ho ottenuto il bonus?

In caso di accoglimento della domanda verrà comunicato al beneficiario l’importo del contributo e il codice univoco da consegnare al professionista presso cui si tiene la sessione di psicoterapia.

Per usufruire del contributo, il codice univoco deve essere utilizzato per la prenotazione delle sessioni di psicoterapia entro 270 giorni dall’accoglimento della domanda.

Superato il suddetto termine il codice univoco sarà annullato.

Per maggiori info e per scaricare il tutorial dell’inps: https://www.inps.it/content/inps-site/it/it/dettaglio-scheda.schede-servizio-strumento.schede-servizi.bonus-psicologo—contributo-per-sostenere-le-spese-relative-a-sessioni-di-psicoterapia-58955.contributo-per-sostenere-le-spese-relative-a-sessioni-di-psicoterapia-bonus-psicologo.html

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A cura del dott.ssa Martina Schilirò

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Incontinenza urinaria. Il ruolo della fisioterapia.

L’incontinenza urinaria è una condizione che viene percepita principalmente come un disturbo della persona anziana, ma è più comune di quel che si pensi: ne soffrono ragazze in età adolescenziale, giovani donne e nella mezza età, donne in menopausa.

Si parla di incontinenza, infatti, anche quando si fa fatica a trattenere l’urina durante piccoli sforzi come starnutire, ridere, tossire, saltare, correre e sollevare pesi.

L’esigenza di indossare il salvaslip nelle circostanze in cui è necessario svolgere attività come la corsa o la lezione di kick boxing in palestra non deve essere considerata la normalità, deve anzi essere spia di un problema da indagare più a fondo, legato alla salute del pavimento pelvico.

In particolare, si ha incontinenza quando i muscoli del pavimento pelvico non hanno la capacità di fare ciò a cui sono deputati, ovvero contenere gli organi (utero, vescica e retto), l’urina e le feci.

Più che di una debolezza muscolare in sé, si tratta di:

  • un problema di propriocezione, ovvero la difficoltà ad individuare e percepire la muscolatura interna ed esterna del pavimento pelvico;

  • una dissinergia con il diaframma respiratorio, responsabile, assieme a quello pelvico, di regolare le pressioni endoaddominali, per cui si ha un’eccessiva spinta sulla parete addominale e sugli organi pelvici che porta alle perdite durante gli sforzi;

  • uno schema posturale tendente al tilt pelvico anteriore che predispone alla lassità o ipotono delle strutture e alla difficoltà nel controllo muscolare durante il movimento.

    La fisioterapia è una risorsa cruciale nella riabilitazione dell’ipotono pelvico.

    La paziente e la fisioterapista, infatti, possono costruire un percorso cucito sulle esigenze uniche e personali di ognuna:

  • insieme, si prendono in considerazione le caratteristiche fisiche e la storia di vita (gravidanze, cali ponderali, infortuni pregressi, dolori presenti in altre zone del corpo, stress, ansia e depressione) che plasmano e segnano il corpo in un modo che è differente e cambia da persona a persona;

  • si lavora sulla percezione corporea, l’esplorazione delle aree del corpo difficilmente percepite, creando una mappa mentale della zona con l’aiuto del movimento del bacino e della colonna vertebrale;

  • si riscopre la respirazione diaframmatica, ripristinando la sinergia tra i due diaframmi e una corretta pressione endoaddominale che verranno associate al movimento dei vari segmenti corporei;

  • si procede con l’attivazione del muscolo trasverso dell’addome e alla coordinazione con la contrazione pelvica.

    Questa è la base di lavoro che ci consente di procedere all’automatizzazione delle attivazioni muscolari di core e pavimento pelvico durante le attività della vita quotidiana, come sollevare piccoli pesi o camminare a passo svelto senza perdite urinarie, per poi trasferire queste abilità anche in attività più complesse come il salto, la corsa, l’esercizio fisico in palestra.

    Le perdite urinarie, anche piccole, non sono normali. 

    Risolviamole insieme!

incontinenza urinaria

A cura della dott.ssa

Giulia Tosques

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Pavimento Pelvico Femminile. Perché è così importante?

Ultimamente sempre più spesso si sente parlare di pavimento pelvico e, ancora di più, di pavimento pelvico in gravidanza. Ma cos’è? Cosa fa? E quando è utile fare una visita di valutazione del pavimento pelvico in gravidanza?

Andare a fondo e scoprire insieme questa zona anatomica può essere di grande aiuto in un’ottica preventiva (prevenire è sempre meglio che curare!) oppure in caso di disfunzioni già presenti, per capire meglio cosa è possibile fare per prendersene cura nella vita di tutti i giorni e durante le settimane di gravidanza.

Iniziamo dalla base per non lasciare spazio a fraintendimenti: cos’è il pavimento pelvico?

Il pavimento pelvico è l’insieme dei muscoli che chiude inferiormente il bacino, per intenderci è tutta la zona anatomica che si poggia sul sellino della bicicletta. Si compone di tre strati muscolari che hanno molteplici funzioni. In linea generale è importante sapere che è bene parlare di pavimento pelvico in qualsiasi fase della vita di una donna, a qualsiasi età: la pubertà, la fertilità, la gravidanza, il puerperio e la menopausa costituiscono importanti fasi di cambiamento nella vita della donna, e il pavimento pelvico rappresenta il distretto corporeo dove tutte queste variabili temporali convergono, spesso generando alterazioni che si riflettono sulla sfera genito-urinaria e sessuale.

Ma quali sono le principali funzioni del pavimento pelvico?

Il pavimento pelvico normotonico sostiene gli organi pelvici: quando questo complesso muscolare presenta un’insufficienza o un’alterazione di tono, viene meno la funzione di sostegno degli organi pelvici, quindi della vescica, dell’utero e/o del retto, dando luogo a una loro possibile discesa che per definizione prende il nome di prolasso.

Inoltre, quando i muscoli del pavimento pelvico sono normotonici, allora garantiscono la continenza di urina, gas e feci: i muscoli del pavimento pelvico svolgono infatti un ruolo fondamentale nel controllo volontario della minzione e della defecazione, ciò significa che al contrario quando il tono è alterato si può verificare un’incontinenza urinaria e/o fecale.

Il pavimento pelvico è coinvolto nel rapporto sessuale e quindi influenza la qualità stessa del rapporto. Favorisce la circolazione locale, il ritorno venoso e linfatico della parte inferiore del corpo, quindi degli arti inferiori.

Durante la gravidanza, il pavimento pelvico sostiene l’utero gravidico, deve essere abbastanza forte e al tempo stesso elastico per supportare al meglio l’aumento di peso fisiologico tipico della gestazione. Poi durante tutto il travaglio sostiene il collo dell’utero fino a una completa dilatazione cervicale, funzionale alla fase del parto. Durante la fase espulsiva accompagna il/la bimbo/a nella discesa attraverso il canale del parto, permettendo la nascita. E per finire protegge gli organi, il/la bambino/a e l’integrità della donna.

Per aiutare il pavimento pelvico ad assolvere a tutte le sue funzioni nel migliore dei modi, è bene che sia normotonico, ossia che il tono di base muscolare sia normale: in grado di attivarsi, quindi contrarsi, e di rilassarsi al bisogno, a seconda delle azioni che si svolgono nel quotidiano. È nella vita di tutti i giorni, infatti, che ci giochiamo la nostra salute: tutte le volte che il pavimento pelvico non viene coinvolto durante gli sforzi addominali, di qualsiasi tipo ed entità, lo stiamo sollecitando inutilmente, preparando il terreno fertile per eventuali future disfunzioni del pavimento pelvico. Le problematiche a carico di questo distretto non insorgono improvvisamente: perpetuare uno stile di vita scorretto che porta a caricare continuamente il pavimento pelvico è la prima causa di insorgenza di disfunzioni del pavimento pelvico.

Allora cosa è possibile fare per avere maggiore consapevolezza della salute del proprio pavimento pelvico e imparare a prevenire eventuali problematiche future?

La visita di valutazione del pavimento pelvico rappresenta un’efficace e semplice tecnica di prevenzione delle problematiche a carico di questa zona.

Il pavimento pelvico non è un fatto che riguarda esclusivamente le donne anziane. Non è raro, infatti, che le prime alterazioni del pavimento pelvico si abbiano già in giovane età: stiamo parlando del fatto che un pavimento pelvico anche alla tenera età di 18 anni possa essere ipotonico (incapace o poco capace a contrarsi) o ipertonico (eccessivamente contratto per cui risulta difficile il rilassamento muscolare). In entrambi i casi ci troviamo di fronte a una situazione considerata alterata, che può molto probabilmente portare a problematiche a carico del pavimento pelvico.

Fare prevenzione significa intervenire prima ancora che il problema sia comparso per evitare che in futuro possa presentarsi.

Grazie alla visita di valutazione del pavimento pelvico sarà possibile pianificare un eventuale percorso di rieducazione o riabilitazione a seconda del quadro riscontrato.

Inoltre, lavorare sul pavimento pelvico produce indirettamente anche altri benefici molto interessanti:

  • Miglioramento della peristalsi intestinale
  • Miglioramento dei dolori a carico della schiena e/o della colonna vertebrale
  • Miglioramento dei dolori legati al ciclo mestruale e ovarico
  • Miglioramento della qualità dei rapporti sessuali

Le figure professionali che si occupano di pavimento pelvico sono: l’ostetrica, la fisioterapista, l’infermiera, che si occupano di pavimento pelvico femminile.

Rappresentano un campanello di allarme per il pavimento pelvico le seguenti situazioni:

  • Stitichezza o iperattività intestinale
  • Incontinenza di urina, gas o feci
  • Infezioni urinarie, vaginosi o vaginiti ricorrenti che stentano a guarire
  • Sensazione di peso in vagina, come se ci fosse un ingombro
  • Difficoltà o dolore durante i rapporti sessuali
  • Sensazione di incompleto svuotamento vescicale durante la minzione
  • Sport ad alto impatto o a livello agonistico
  • Presenza di cicatrici da parto (sull’addome per il parto cesareo, sul perineo per il parto vaginale)
  • Presenza di beanza vulvare post-parto
  • Gravidanza e post-parto rappresentano di per sé una fase delicata ed effettuare una valutazione del pavimento preventiva è l’ideale
  • Nel caso di diastasi dei muscoli retti dell’addome

La bella notizia è che qualsiasi sia la situazione del pavimento pelvico è possibile effettuare un lavoro personalizzato di rieducazione o riabilitazione a seconda dell’entità della problematica del pavimento pelvico.

L’obiettivo ultimo di un percorso di pavimento pelvico, sia se si effettua in un’ottica preventiva sia se vi è la presenza di una disfunzione, è imparare ad attivare tutta la zona del pavimento pelvico al bisogno, a seconda dei gesti e delle azioni del quotidiano, per non sollecitarlo inutilmente ma coinvolgerlo ad hoc!

A cura della dott.ssa Roberta Mayer

 

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